Cronaca della terza sessione della seconda avventura “Per favore non mordermi sul collo” della campagna di D&D “Quella sporca quartina“
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In breve
Lucius s’è risvegliato Stregone e abbiamo sconfitto altre due ondate di mostri generate dalla Luna di sangue.
Ritorna la nebbia
Iniziamo la sessione con il gruppo che si è appena riunito al porto, dopo aver sgominato l’idra e i trogloditi non-morti; dei nemici non è rimasta alcuna traccia, poiché sono evaporati in una nebbia di sangue.
Gli abitanti del porto, pescatori e barcaioli, terrorizzati per quello che è successo e viste le loro catapecchie ridotte in rottami dalla furia dell’idra, decidono di rifugiarsi nel torrione della guardia civica, una delle poche strutture in pietra della cittadina.
Nel frattempo la nebbia che stava risalendo dal lago ha completamente avvolto la città, nascondendo la luna di sangue: se non è finita, avremo almeno un po’ di tregua. Ricordo ai giocatori che siamo nel cuore dell’inverno, nei giorni in cui le notti sono più lunghe e l’alba è ancora lontana.
Provo e riprovo, ma sembra che ai giocatori di scortare gli abitanti attraverso il paese fino al torrione non interessi nulla. Il loro problema adesso è che Risa gli aveva detto che i non-morti non avrebbero toccato chi si chiudeva in casa e invece è successo. Insomma, l’hanno presa sul personale e la povera Risa dovrà risponderne.
Showdown con Risa
Ripercorriamo la via da cui eravamo scesi e arrivati dinanzi al tempio di Pelor troviamo la locanda di Risa con le porte e le finestre sbarrate. Bussiamo e bussiamo ancora e finalmente Risa ci apre. Ci fa un sacco di feste; è contentissima che siamo tutti interi, ma Lucius e Heydak hanno le palle girate e la accusano di averli ingannati e iniziano a chiedere delle ricompense per aver salvato il paese.
Risa giura che non era mai successo che attaccassero chi si era chiuso in casa e si fingeva morto; certo, se avevi il focolare accesso o cantavi canzoni, allora ti entravano in casa, ma se stavi buono e zitto, le volte scorse, di questo è abbastanza sicura, non ti succedeva nulla. Quanto alla ricompensa, lei ha già promesso pasti e alloggio gratis al gruppo in cambio della protezione e, insomma, più di così lei non può dare né promettere: ne parlassero con Zantus, il podestà, alla prossima riunione al Palazzo Civico.
Comunque, tutto sembra tranquillo e il gruppo torna in camera per provare a dormire. La camera è gelida, ma ci imbacucchiamo di coperte e proviamo a riposare. Heydak manda il suo corvo sul tetto e lo prega di avvisarlo dovesse mai succedere qualcosa.
Uno dopo l’altro Iris, Llew e Lucius si addormentano. Ma quello che a noi adesso interessa è il sogno di Lucius, indotto dagli ancestrali ricordi che ribollono nella parte elfica del suo sangue.
Il sogno di Lucius
“Vasshak! Vasshak! Signore!” Cazzo! Mi devo essere addormentato. Alzi lo sguardo, schermando con la destra il caldo sole estivo, e, tra le dita, intravvedi un elfo, coperto da un’armatura d’argento, che tra le mani tiene le briglia del suo liocorno. Ti passi la sinistra sugli occhi, levandoti la sonnolenza di dosso: “Dimmi, soldato, ti ascolto”. Il messaggero risponde : “Signore, il Re ha dato l’ordine: domani all’alba i campi devono essere smontati e tutti devono essere pronti a partire. La neve si è ormai sciolta, il valico è aperto, non possiamo indugiare oltre.” Ti alzi di scatto e lo congedi bruscamente: “Dì al Re che domani saremo pronti”.
“Non possiamo indugiare oltre” Fanculo! Maledetto il Re e la sua maestria nel ricoprire la merda di miele! Ci hanno battuto, siamo sconfitti, un popolo disperso che non rivedrà mai più la sua casa. Ecco questa è la verità. Ti guardi attorno e vedi l’esercito accampato lungo le sponde del lago. Ah, se potessi fare a modo mio. Se Vasshak il cavaliere potesse raccogliere mille valorosi e con loro affrontare una morte eroica in sella a candidi liocorni! Ma Vasshak il generale non può; tutta l’ala destra dell’esercito dipende da te e con essa la salvezza dell’intero popolo: uomini, donne, bambini, vecchi, tutto un popolo in fuga da un nemico spietato e vittorioso. Maledetta la mia ambizione! Fossi rimasto un semplice cavaliere! Potessi fare di testa mia. Cazzo! Cazzo! Cazzo!
Ti volti e ti rivolgi ai tuoi attendenti: “Il Re, nella sua saggezza, ha fatto la scelta giusta: valicheremo le montagne, metteremo al sicuro i nostri figli nell’inespugnabile Iperborea e da lì ritorneremo per rivendicare ciò che è nostro. Date l’ordine di levare il campo, che tutti siano pronti. Tu, prendi la bestia più veloce che trovi e vai ad avvisare le scolte sulle alture: che anche loro siano pronte a partire domani all’alba. Nessuno deve rimanere indietro.”
E’ stata una lunga giornata; organizzare tutto il fianco destro dell’esercito per l’imminente partenza ha richiesto tutto il tuo impegno: controllare il lavoro dei furieri e dei genieri; motivare la truppa, sconfortata dall’improvvisa consapevolezza di una fuga senza ritorno; scegliere i battaglioni da tenere in retroguardia per coprire la ritirata dell’esercito, sapendo di condannarli a morte certa. Già, è stata una lunga giornata e adesso, mentre il cielo si tinge di viola in questo crepuscolo d’estate, ti lasci cadere sul tuo letto da campo, troppo sfinito persino per mangiare e subito inizi a sognare, un sogno nel sogno.
Inizia come sempre, come tutte le notti da quando è iniziata questa maledetta guerra, con lei. Lei, la tua giovane sposa. Lei, la madre di tuo figlio. Lei, la figlia del nemico. La vedi là, come sempre, sull’uscio, mentre vostro figlio si nasconde tra le sue gonne e lei ti abbraccia prima della tua partenza per la guerra “sarà breve; presto ci rivedremo”, ma entrambi sapete che è una bugia, un mero inganno per non ferirsi a vicenda e nascondere la verità dietro una vana speranza. Poi la tenerezza lascia il posto al rimpianto per ciò che hai perso per sempre; quindi è la volta della tenacia, della volontà di resistere malgrado tutto e contro tutti, che viene subito spenta da un’ondata di scoramento, sognando il futuro che ti aspetta nella gelida Iperborea, di là delle montagne; ma alla fine è con un chiaro proposito di vendetta che ti svegli: la vendetta fredda e spietata di chi ormai non ha nulla da sognare o sperare, ma che è disposto ad affrontare qualsiasi prova pur di portarla a termine.
Ti guardi attorno e, nella fredda penombra dell’aurora, vedi la stessa gelida luce negli occhi di tutti: soldati, donne, bambini. E guardandovi negli occhi avete la consapevolezza, che, pur ciascuno secondo il suo vissuto e i ricordi che ne serba, tutti avete sognato lo stesso sogno: un sogno di Inganno, Speranza, Tenerezza, Rimpianto, Tenacia, Scoramento e Vendetta. E’ come se questi sentimenti, espressi all’unisono da decine di migliaia di menti sognanti, si fossero coagulati e avessero conquistato una loro autonomia, come spettri che si aggirano tra boschi e vallate, lasciandosi alle spalle un popolo che ora non ha più nulla da sognare, ma solo un dura, razionale, determinazione a sopravvivere per porre in essere la sua vendetta; un piatto che andrà servito freddo.
Prendi le redini del bianco liocorno e ti rivolgi con gelida calma ai tuoi attendenti: “Date l’ordine. Si parte.” Qualche ora dopo, mentre guardi le truppe sfilare sotto di te lungo il passo che porta all’Iperborea, un solo pensiero martella insonne la tua mente: Ritorneremo e allora non ci sarà pietà per nessuno!
L’ultimo sogno degli Elfi
- Quando gli Elfi fedeli al Re Febo furono sconfitti dagli Imperiali si ritirarono a nord nella gelida Iperborea.
- Gli Elfi hanno sognato un’ultima volta prima di lasciare il Meridione e varcare i passi per raggiungere l’Iperborea.
- Da allora non dormono più, ma passano le loro notti in una veglia senza sogni né pensieri.
- Selvie delle Cinque Torri è nota come la Città Sognante e il lago che la circonda come il Lago dei Sogni, perché lungo le sue sponde il grosso dell’esercito sognò per l’ultima volta.
- Il fianco destro, comandato da Vasshak ,si trovava acquartierato nella Valle, presso il Lago delle Nebbie.
- Si dice che in questa zone i sogni da allora siano particolarmente forti e vividi, come se il ricordo delle emozioni degli Elfi persistesse e li influenzasse.
Lucius è uno Stregone
Lucius si sveglia di soprassalto, assalito dalla consapevolezza della sua origine elfica e dal ricordo del suo antenato Vasshak. Si passa le mani sul viso, ma le sente gelide al tatto; raggiunge il lume e lo accende, avvicinandosi allo specchio: il suo volto e il suo incarnato si sono fatti gelidi e diafani, i capelli sono diventati bianchi e i suoi occhi brillano senza pupille di una gelida luce ghiacciata, come quelli dei suoi antenati Iperborei.
Ma è nella sua mente che sente che qualcosa è cambiato per sempre, grazie alla rivelazione delle sue vere origini. Percepisce i sogni e le speranze dei suoi compagni quasi fossero i suoi, mentre vede i suoi allontanarsi per sempre, come spettri che si perdono tra le nebbie del lago.
In pratica, Filippo si è stufato del Fattucchiere (Warlock) e abbiamo ricreato Lucius come uno Stregone dalla Mente Aberrante.

La nebbia si dirada
A questo punto, il corvo di Heydak inizia a gracchiare che si sta sollevando una brezza dal lago e la nebbia si sta diradando, lasciando filtrare la luce rossa della luna.
Il gruppo si rimette subito in allerta e, uscendo dalla locanda, sente delle grida provenire dalla via principale, dove c’è il torrione in cui si sono rifugiati gli abitanti del porto. Non bastasse, notano che dalle porte del tempio, dinnanzi a loro, sembra fluire una nebbia nerastra, come di sangue coagulato.
Le grida si fanno sempre più disperate, quindi ci lasciamo alle spalle il tempio e corriamo verso il torrione. Giriamo l’angolo e lo vediamo qualche decina di metri più avanti: è una tozza torre cilindrica in pietra alta tre piani, che si erge al vertice di un muro che delimita un cortile rettangolare; l’ingresso è al primo piano e una scala si avvolge lungo il perimetro per raggiungerla; il piano terra non presenta alcuna finestra; al primo ci sono delle feritoie, da cui provengono le urla disperate, mentre il secondo e ultimo piano ha otto ampie finestre rettangolari e da una di queste si stanno buttando giù alcuni abitanti del villaggio.
Il torrione
Si gettano urlando e impattano al suolo rompendosi il bacino o l’osso del collo. Ma, poco dopo, improvvisamente si alzano e con occhi iniettati di sangue si gettano alla ricerca di vittime da mordere: sono stati trasformati in non-morti vampiri!
Il gruppo non aspetta di vedere dove vadano e anzi si mette subito a falciarli uno dopo l’altro; nel frattempo Llew si lancia su per scala per andare a vedere cosa stia succedendo dentro il torrione. Aperta la porta, si trova davanti una stanza circolare piena di abitanti terrorizzati; lungo le pareti si trovano due scale, una che scende e una che sale; in cima alla scala che sale, c’è un grosso energumeno che cerca con tutte le sue forze di tenere chiusa una botola, mentre dall’alto qualcuno prova ad aprirla.
I cittadini spiegano in preda al terrore che si erano rifugiati nel torrione, ma che quando è riemersa la luna di sangue, gli antichi cavalieri imbalsamati che ornavano la stanza di sopra si sono risvegliati e hanno iniziato a colpire chiunque capitasse loro a tiro per poi morderlo e trasformarlo in non-morto. Dassus, il fabbro, sta disperatamente tenendo bloccata la botola, ma prima o poi si stancherà e allora cavalieri mummificati la apriranno e per loro non ci sarà più alcuna salvezza.
Iris e Llew salgono di corsa la scala e spalancano di colpo la botola, mandando gambe all’aria i cavalieri che stavano tirando per aprirla; poi balzano fuori della botola e Iris invoca il potere del Sole per scacciare i non morti, mentre Llew prova ad affettare tutti quelli che gli capitano a tiro.
La mischia è piuttosto incasinata, anche perché la stanza circolare e spoglia e non offre ripari dietro cui nascondersi; Lucius passerà il combattimento facendo capolino dalla botola, nella speranza di non essere colpito. Comunque i nostri hanno la meglio: Llew affetta mostri a destra e a manca e Heydak che finisce l’ultimo non morto che si era gettato dalla finestra per fuggire da Iris e dai suoi terribili poteri anti non-morti alla fragranza di mela.
Tentacoli di tenebra
Finito la scontro, i nostri tornano al piano di sotto per tranquillizzare i paesani, ma veniamo interrotti dalle grida di terrore che questa volta vengono dalla zona del tempio.
Torniamo di corsa alla locanda e la troviamo, come gli edifici vicini, avvolta da dei tentacoli di tenebra che escono dal tempio. Dall’interno sentiamo le grida degli avventori e di Risa.
Llew e Heydak entrano nella taverna, cercando di evitare il gelido tocco dei tentacoli necrotici, trovando gli avventori e Risa alle prese con i tentacoli che provano a ghermirli e entrarli in gola per trasformarli in non morti; in poco tempo riescono ad avere ragione dei non morti, mentre Iris e Lucius scaricano le loro magie sui tentacoli per indebolirli; colpo dopo colpo riescono a farli arretrare fino all’interno del tempio.
Lasciamo Risa e i suoi clienti e tutti ci mettiamo a inseguire i tentacoli che si ritirano nel tempio. Ed ecco che, meraviglia, scopriamo che i tentacoli era il prolungamento della lingua di un gigante d’ombra, un altro degli scherani del Duca Draco. Tamotsu, il gigante, un esperto di arti marziali come gli altri giganti al servizio del Duca, richiama la sua orribile lingua e si prepara a sfidarci.
Il combattimento è molto duro, perché Tamotsu evoca una sua eco spettrale e riesce a teletrasportarsi tra una forma e l’altra per evitare gli attacchi del gruppo e per colpire di sorpresa dove meno se lo aspettano. Lucius lo bombarda di magie, Llew prova ad affettarlo con lo spadone e Heydak gli compare dall’alto con il suo passo d’ombra per infilzarlo con il pugnale. Ma alla fine è la solita Iris a stenderlo con le sue magie.
Sconfitto il gigante, il cielo inizia a tingersi dei colori dell’aurora, segnando la fine di questa notte terribile. I personaggi, spossati, ritornano alla locanda e si gettano sul primo giaciglio che trovano.
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